La dialettica e l’Uno

Ma che cos’è questa dialettica? È una scienza che, per ogni oggetto dato, ci rende capaci di esprimere con un discorso che cosa è questo oggetto, in che cosa esso differisce dagli altri, ciò che ha in comune con essi, e tra quali oggetti e in quale classe si trovi; essa determina altresì il tipo di esistenza che le compete, il numero degli esseri di un dato genere e il numero degli esseri che non appartengono a questo genere ma ne differiscono.

La dialettica verte ancora sul bene e sul contrario; è essa che definisce l’eterno e il non eterno, e in tutto ciò procede per scienza e non per opinione. Essa si ferma, nel suo errare per il mondo sensibile, solo quando attinge l’intelligibile, e lì ha termine la sua attività; allontana da sé il falso e nutre la nostra anima, secondo l’espressione di Platone, nel campo della verità: essa usa il metodo platonico della divisione per distinguere la specie da un genere, per definire, e per pervenire ai generi primi; poi mediante l’intelletto essa fa di questi generi una sintesi complessa fino a quando ha percorso tutto il campo dell’intelligibile, e poi, per un processo inverso che è quello dell’analisi, essa ritorna al principio.

A questo punto essa si acqueta e rimane in quiete finché è nel mondo intelligibile: abbandona ogni banale investigazione e si raccoglie in unità; e di lì considera la logica che tratta delle proposizioni e dei sillogismi, e l’abbandona come si abbandona l’arte dello scrivere per un’attività diversa. Tra le forme di ragionamento alcune sono necessarie e precedono ogni educazione  tecnica. La dialettica sottopone al suo esame sia queste forme naturali che le altre.

Donde la dialettica trae i suoi principi? È l’intelligenza che offre i principi evidenti, sempre che l’anima sia in grado di riceverli; viene di lì la serie delle nostre operazioni; essa compone, unisce e divide, fino a raggiungere l’intelligenza perfetta. La dialettica, dice Platone, è la parte più pura dell’intelligenza e della sapienza. Essendo la più preziosa delle nostre facoltà, essa si rapporta di conseguenza all’essere e alla più nobile realtà: la sapienza si rapporta all’essere, l’intelligenza a ciò che trascende lo stesso essere.

…….

È in virtù dell’Uno che tutti gli enti sono quello che sono, siano le sostanze che sono enti in un senso primario del termine, siano quegli attributi che in qualche misura, come suol dirsi, fanno parte degli enti. Quale cosa esisterebbe, se non fosse una? Appena privati dell’unità, gli enti non sono più quelli. Non si ha esercito, né coro, né gregge se non sono un’armata, un coro, un gregge. Non c’è casa né nave se non fossero ciascuna un’unità: e se dovessero perdere l’unità la casa non sarà più casa e la nave non sarà più nave. Così le grandezze continue non esisterebbero se in esse non fosse presente l’unità. Dividete una grandezza e questa, perdendo la sua unità, cambia il suo essere. Così accade delle piante e degli animali: ciascuno di essi è un solo corpo ma, se perde l’unità, si fraziona in più parti, perde il suo essere e non è più quello che era; si cambia in altri esseri e, se questi sono, sono ciascuno ancora un’unità. C’è salute quando c’è unità di coordinazione nel corpo, c’è bellezza quando l’unità tiene unite le parti, c’è virtù nell’anima quando l’insieme delle sue facoltà si compone in unità ed accordo.

Ebbene, dal momento che l’anima fornisce ai corpi altre proprietà senza confondersi essa stessa con quello che dà – per esempio essa fornisce ai corpi la forma e l’idea che sono diverse da essa – così, se essa conferisce loro l’unità, occorre credere che questa unità da essa conferita sia diversa dal suo essere e che essa faccia, di ogni essere, un essere contemplante l’uno: come essa dà forma ad un uomo contemplando l’uomo ideale, ed in questa contemplazione dell’uomo ideale raccoglie ciò che di unitario sta in lui.

…….

Non è vero, allora, che per ogni essere particolare l’essenza si identifica con la sua unità e che, per l’insieme di essere ed essenza, l’essenza del tutto si identifica con l’unità del tutto?  Sicché scoprendo l’essere si scopre nello stesso tempo l’unità. Se, per esempio, l’essenza è l’Intelligenza, l’Uno è anche Intelligenza, che è così il primo essere e la prima unità, e fa partecipare le altre cose all’essere e, in uguale misura, all’unità.

…….

L’essere universale, avendo in sé tutti gli esseri, è a maggior ragione una cosa multipla e differente dall’uno, anzi possiede l’uno per partecipazione. Questo essere, infatti, possiede la vita e l’intelligenza e pertanto è multiplo; ed è ancora più molteplicità, giacché in quanto intelligenza possiede una molteplicità di idee, e le idee non sono che pluralità.

…….

In definitiva l’Uno è il primo, l’intelligenza, le idee, l’essere non sono le realtà primarie.

…….

Ordunque, poiché quello che cerchiamo è l’Uno, poiché andiamo esaminando il principio di tutte le cose, il Bene e il Primo, non ci si deve allontanare dagli oggetti che sono nelle vicinanze degli enti primi, per cadere fino agli ultimi, ma occorre muovere dagli oggetti sensibili che sono gli ultimi, e sollevarsi fino ai primi.

…….

Dunque qual è il senso della parola Uno e come lo si può adeguare al nostro pensiero? … Esso è la cosa più grande di tutte le altre, non certo per dimensione ma per potenza. Si deve ammettere inoltre che la sua infinità non consiste nell’incompiutezza della sua grandezza o del numero delle sue parti, bensì nell’assenza di limiti alla sua potenza. Se lo si presenta come intelligenza o dio, l’Uno è più di tutto ciò; e qualora per atto di riflessione lo si vuole ancora unificare, esso è sempre ben di più di quanto si possa rappresentare, perché esso ha più unità di quanto ci possa offrire la nozione di lui; perché esso è in sé e non gli si addice alcun attributo.

…….

Il Bene non gli appartiene accidentalmente, perché esso stesso è il Bene. Infine non occupa un luogo, quasi che non potesse sostenersi: deve avere una collocazione spaziale l’essere inanimato, una massa che cade fino a quando non viene fissata in un punto. Ma è attraverso di lui che gli altri esseri ricevono la loro situazione; per il suo tramite gli esseri hanno l’esistenza e nello stesso tempo il luogo che egli assegna loro. Del resto, aver bisogno di un luogo è un difetto: il principio non ha bisogno delle cose che vengono dopo di lui; il principio delle cose non ha bisogno di nulla: non sorge bisogno se non quando sorge il desiderio del principio. Poi, supponiamo che l’Uno abbia bisogno di qualche cosa, ma allora è evidente che egli cerca di non essere più uno, avrà bisogno di un altro elemento che distrugga la sua stessa unità; ora, tutto ciò che in un essere si chiama bisogno si riferisce al bene e alla conservazione di questo essere. Quindi, per l’Uno non c’è alcun bene, l’Uno non ha volontà, è al di sopra del bene, e non è bene per se stesso: esso è Bene per le altre cose, sempre che queste siano capaci di accoglierne qualche parte.

…….

Per esso ci è dato vivere e conservarci; inoltre non si stacca da noi e anzi per sempre egli somministra la vita fino a che sia quello che è. Piuttosto noi siamo proprio in quanto tendiamo verso di lui e verso il bene che è lì; il solo allontanarci da lui è una minorazione; è lì che l’anima trova pace, fuori dai mali, in un luogo puro, scevro di ogni cattiveria; là l’anima conosce mediante l’Intelligenza, lì si purifica dalle passioni, lì veramente vive. La vita di ora, imita quella vera vita.

…….

Lassù è il verace oggetto del nostro amore e noi possiamo unirci a lui partecipandone davvero e possedendolo realmente, purché smettiamo di dissiparci nella vita della carne.

Plotino, Enneadi, I, 3 e VI, 2

 

3 risposte a "La dialettica e l’Uno"

Add yours

  1. “Quindi, per l’Uno non c’è alcun bene, l’Uno non ha volontà, è al di sopra del bene, e non è bene per se stesso: esso è Bene per le altre cose, sempre che queste siano capaci di accoglierne qualche parte”.

    Comunque ne riparleremo. Ci arriveremo

    "Mi piace"

Lascia un commento

Crea un sito web o un blog su WordPress.com

Su ↑