La consuetudine

Supponete che una persona, sebbene dotata delle più robuste capacità di ragionamento e di riflessione, venga portata all’improvviso in questo mondo; essa osserverebbe certo immediatamente una continua successione di oggetti, un fatto dopo l’altro; ma non riuscirebbe a scoprire qualche cosa di più. Sulle prime non riuscirebbe a scoprire qualche cosa più. Sulle prime non riuscirebbe, con qualche ragionamento, a conseguire l’idea di causa ed effetto, poiché i poteri particolari, dai quali vengono compiute tutte le operazioni della natura, non appaiono mai ai sensi; né è ragionevole concludere, soltanto perché un avvenimento, in un caso, ne precede un altro, che perciò uno è la causa e l’altro è l’effetto. La loro congiunzione può essere arbitraria e casuale. Può non esserci alcuna ragione per inferire l’esistenza dell’uno dall’apparire dell’altro. In una parola, una tale persona, senza maggiore esperienza, non potrebbe mai adoperare la sua congettura o il suo ragionamento intorno a qualche questione di fatto né potrebbe essere sicura di qualche cosa all’infuori di ciò che è immediatamente presente alla sua memoria o ai suoi sensi.

Supponete, ancora, che essa abbia acquisito maggiore esperienza e che abbia vissuto così a lungo nel mondo da avere osservato oggetti o avvenimenti familiari che sono costantemente congiunti insieme; qual è la conseguenza di questa esperienza? Quella persona inferisce immediatamente l’esistenza di un oggetto dall’apparire dell’altro. Finora essa non ha acquisito, con tutta la sua esperienza, alcuna idea o conoscenza del potere segreto con cui l’oggetto produce l’altro; né è che essa sia costretta a trarre questa inferenza da qualche processo di ragionamento. Ma tuttavia essa si trova costretta a trarla; e anche se fosse convinta che il suo intelletto non ha alcuna parte nell’operazione, continuerebbe egualmente nello stesso corso di pensiero. V’è qualche altro principio che la costringe a formare una tale conclusione.

Questo principio è la consuetudine o abitudine. Infatti ovunque la ripetizione di qualche atto o operazione particolare produce una inclinazione a ripetere lo stesso atto o la stessa operazione, senza la spinta di qualche ragionamento o processo dell’intelletto, noi diciamo sempre che questa inclinazione è l’effetto della consuetudine. Adoperando questa parola, non pretendiamo di aver dato la ragione ultima di tale inclinazione. Noi non facciamo che indicare la presenza di un principio della natura umana, che è universalmente riconosciuto e che è molto noto nei suoi effetti. Forse non possiamo spingere più oltre le nostre ricerche, o pretendere di dare la causa di questa causa; ma dobbiamo contentarci di essa come del principio ultimo che noi possiamo indicare di tutte le conclusioni derivate dall’esperienza.

È soddisfazione sufficiente che ci sia possibile giungere a tanta distanza, senza che ci si affligga della ristrettezza delle nostre facoltà perché esse non ci condurranno più avanti. È certo che, quanto meno, noi qui mettiamo avanti una proposizione molto intelligibile, se non vera, quando affermiamo che , in seguito alla costante congiunzione di due oggetti -calore e fiamma, per esempio, peso e solidità- noi siamo costretti, dalla consuetudine soltanto, ad aspettarci l’uno in derivazione dell’apparire dell’altro. Questa ipotesi sembra anche la sola che spieghi la difficoltà, perché noi traiamo da un centinaio di casi una inferenza che non riusciamo a trarre da un solo caso , il quale non è, sotto alcun riguardo, differente da quelli. La ragione è incapace di un passaggio del genere. Le conclusioni che essa trae dalla considerazione di un cerchio sono le stesse che formerebbe osservando tutti i cerchi dell’universo. Ma nessuno, avendo visto soltanto un corpo muoversi dopo essere stato spinto da un altro, inferirebbe che ogni altro corpo si muoverà dopo un simile impulso. Tutte le inferenze dall’esperienza, dunque, sono effetti di consuetudine, non di ragionamento.

La consuetudine, dunque, è la grande guida della vita umana. È questo quell’unico principio che ci rende utile l’esperienza e che ci fa attendere, per il futuro, un seguito di avvenimenti simile a quello che ci si è presentato nel passato. Senza l’influsso della consuetudine saremmo del tutto ignoranti di ogni materia di fatto all’infuori di ciò che è immediatamente presente alla memoria ed ai sensi. Noi non saremmo mai in grado di adattare i mezzi ai fini, o di usare i nostri poteri naturali nella produzione di qualche effetto. Si avrebbe la fine, nello stesso tempo, di ogni azione, come anche della parte principale della speculazione.

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Ogni credenza in questioni di fatto o in reali esistenze è derivata soltanto da qualche oggetto, presente alla memoria o ai sensi, e da una congiunzione derivante da consuetudine fra quello e qualche altro oggetto. In altre parole: avendo trovato, in molti casi, che alcune coppie di oggetti, – fiamma e calore, neve e freddo- sono state sempre congiunte insieme; se una fiamma o della neve si presentano di nuovo ai sensi, la mente è portata dalla consuetudine ad aspettarsi caldo o freddo, e a credere che tale qualità esiste e che si manifesterà a un ulteriore avvicinamento. Questa credere è il risultato necessario del fatto che la mente si trova in tali circostanze. È un’operazione dell’anima che, quando noi ci troviamo in queste condizioni, è inevitabile come il sentire la passione dell’amore, quando riceviamo dei benefici, o la passione dell’odio quando veniamo ingiuriati. Tutte queste operazioni sono specie di istinti naturali, che nessun ragionamento o processo di pensiero e di intelletto sono in grado né di produrre, né di impedire.

Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principi della morale

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