La scienza della logica

La vecchia metafisica aveva … un concetto più alto del pensiero, che non quello che è venuto di moda ai tempi nostri. Metteva cioè per base che quello, che per mezzo del pensiero si conoscesse delle cose e nelle cose, fosse il solo veramente vero che le cose racchiudessero. Il vero, per quella metafisica, non erano quindi le cose nella loro immediatezza, ma soltanto le cose elevate nella forma del pensiero, le cose come pensate. Quella metafisica riteneva perciò che il pensiero e le determinazioni del pensiero non fossero un che di estraneo agli oggetti, ma anzi fossero la loro essenza, ossia che le cose e il pensare le cose (a quel modo che anche la nostra lingua esprime un’affinità fra questi due termini) coincidessero in sé e per sé, che il pensiero nelle sue determinazioni immanenti, e la vera natura delle cose, fossero un solo e medesimo contenuto.

Ma l’intelletto riflettente si impadronì della filosofia.

Occorre sapere esattamente che cosa vuol dire questa espressione che altrimenti si adopera in vari significati come termine di battaglia. Per intelletto riflettente o riflessivo è da intendere in generale l’intelletto astraente e con ciò separante, che persiste nelle sue separazioni. Volto contro la ragione, codesto intelletto, si conduce quale ordinario intelletto umano o senso comune, e fa valere la sua veduta che la realtà riposi sulla realtà sensibile, che i pensieri siano soltanto pensieri, nel senso che solo la percezione sensibile dia loro sostanza e realtà, e che la ragione, in quanto resta in sé e per sé, non dia fuori che sogni. Ora in questa rinuncia della ragione a sé stessa, il concetto della verità va perduto, la ragione viene ristretta a conoscere soltanto una verità soggettiva, soltanto l’apparenza, soltanto qualcosa cui la natura dell’oggetto stesso non corrisponda. Il sapere è tornato ad essere l’opinione.

Tuttavia questa piega, che prende il conoscere, e che appare quale una perdita e quale un regresso, ha per base un profondo motivo, quel motivo su cui riposa in generale l’elevamento della nel più alto spirito della nuova filosofia. Vale a dire che il motivo di quella rappresentazione divenuta ormai universale è da ricercare in ciò che venne scorto il necessario contrasto delle determinazioni dell’intelletto con se stesso.

L’accennata riflessione consiste nel sorpassare il concreto immediato, e nel determinarlo e dividerlo. ma la riflessione deve anche sorpassare queste sue determinazioni divise, e metterle anzitutto in relazione tra loro.Ora in questo punto del metterle in relazione viene fuori il contrasto. Codesto riferire della riflessione appartiene in sé alla ragione; il sollevarsi sopra quelle determinazioni che va fino alla visione del loro contrasto, è il gran passo negativo verso il vero concetto della ragione. Ma quella visione cade, quando non sia condotta a termine, nell’errore per cui si crede essere la ragione, quella che viene a contraddire se stessa. Essa non si accorge che la contraddizione è appunto il sollevarsi della ragione sopra le limitazioni dell’intelletto, e il risolvere queste.

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La critica delle forme dell’intelletto portò al risultato accennato, che queste forme non abbiano alcuna applicazione alle cose in sé. Ciò non può avere altro senso se non che tali forme sono in loro stesse un che di non vero. Ma in quanto le si lasciano come valevoli per la ragione soggettiva e per l’esperienza, la critica non ha operato alcun cambiamento in loro stesse, ma le lascia per il soggetto tali e quali prima valevano per l’oggetto. Ora, se sono insufficienti per la cosa in sé, tanto meno l’intelletto, cui hanno da appartenere, dovrebbe accomodarvisi e contentarsene. Se non possono essere determinazioni della cosa in sé, meno che mai possono essere determinazioni dell’intelletto, cui per lo meno si dovrebbe accordare la dignità di cosa in sé.

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L’idealismo trascendentale, condotto con maggiore conseguenza, conobbe il nulla di quello spettro della cosa in sé lasciato sussistere dalla filosofia critica, conobbe il nulla di quell’ombra astratta separata da ogni contenuto, ed ebbe per scopo di distruggerla completamente. Questa filosofia cominciò a far sì che la ragione esponesse le sue determinazioni traendole da se stessa. Ma la soggettività del suo punto d’appoggio impedì a codesto tentativo di giungere a termine. Tal punto d’appoggio, e con esso anche quel cominciamento o la compiuta elaborazione della scienza pura, furono poi abbandonati.

Quello poi, che ordinariamente si intende per logica, viene considerato senza alcun riguardo ad un significato metafisico. Questa scienza, nello stato in cui tutt’ora si trova, non ha certo alcun contenuto del genere di quello che nella coscienza usuale vale come realtà e come una vera cosa. Non però per questo motivo è essa una scienza formale, priva di una verità sostanziale. Per non dire che il campo della verità non è da cercare in quella materia che in codesta scienza manca (mancanza cui si suole imputare il fatto che essa scienza non soddisfi). La vuotezza delle forme logiche sta anzi unicamente nella maniera di considerarle e di trattarle. In quanto, come determinazioni fisse, cadono una fuori dall’altra, e non vengono tenute insieme in una unità organica, codeste sono forme morte, né risiede in esse lo spirito, che è la loro concreta unità vivente. Mancano così del vero contenuto, di una materia che sia in se stessa una sostanza e un valore. Il contenuto, di cui si trovano mancanti le forme logiche, non è altro che una ferma base e concrezione di queste determinazioni astratte; e una tale essenza sostanziale, per quelle forme si suole andarla a cercare fuori. Ma il sostanziale  o reale, quello che riunisce assieme, in sé, tutte le determinazioni astratte, ed è la loro schietta e assolutamente concreta unità, è appunto la ragione logica. Non vi sarebbe dunque bisogno di andare lontano, per cercare quello che si suole denominare materia. Non è colpa dell’oggetto della logica, se questa sembra vuota, ma solo della maniera come quell’oggetto viene inteso

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Il sapere assoluto è la verità di tutte le forme di coscienza, perché, come risultò da quel suo svolgimento, solo nel sapere assoluto si è completamente risolta la separazione dell’oggetto della certezza in sé, e la verità si è fatta uguale a questa certezza, così come questa alla verità.

La scienza pura presuppone perciò la liberazione dell’opposizione della coscienza. Essa contiene il pensiero in quanto è insieme anche la cosa in se stessa, oppure la cosa in se stessa in quanto è insieme anche il puro pensiero. Come scienza, la verità è la pura autocoscienza che si sviluppa, ed ha la forma del Sé, che quello in sé e per sé è concetto saputo, e che il concetto come tale è quello che è in sé e per sé.

Il contenuto della scienza pura è appunto questo pensare oggettivo. Lungi quindi dall’essere formale, lungi dall’essere privo di quella materia che occorre a una conoscenza effettiva e vera, codesta scienza ha anzi un contenuto che, solo, è l’Assoluto Vero, o, se si voglia ancora adoperare la parola materia, che, solo, è la vera materia; una materia, però, cui la forma non è un che di esterno, poiché questa materia è anzi il puro pensiero, e quindi l’assoluta forma stessa. La logica è perciò da intendere come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, come essa è in sé e per sé senza velo. Ci si può quindi esprimere così, che questo contenuto è la esposizione di Dio, come egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito.

Hegel, Scienza della logica

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