Nella nuova filosofia si è parlato, più che a sufficienza, del fatto che tutta la speculazione comincia col dubbio; d’altra parte io, quando occasionalmente mi sono potuto occupare di queste meditazioni, ho inutilmente cercato degli schiarimenti per sapere in che cosa il dubbio sia diverso dalla disperazione. Qui cercherò di mettere in evidenza questa differenza, sperando che essa giovi ad orientarti in senso teorico e pratico. Sono ben lontano dal credere di avere un vero estro filosofico, non ho il tuo virtuosismo nello scherzare con le categorie, ma quello che in senso più profondo è il significato della vita potrà certo essere compreso anche da chi è più ingenuo. Il dubbio è la disperazione del pensiero, la disperazione è il dubbio della personalità; e per questo tengo tanto alla determinazione della scelta, che è diventata il mio motto, il nerbo della mia concezione di vita; e ho una concezione di vita, anche se non pretendo affatto di avere un sistema. Il dubbio è il movimento interno del pensiero stesso, e nel mio dubbio mi comporto più impersonalmente che posso.
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Il dubbio e la disperazione stanno dunque di casa in due sfere completamente diverse; sono corde assai diverse dell’anima che vengono messe in movimento. … La disperazione è un’espressione molto più profonda e completa, il suo movimento è molto più ampio di quello del dubbio. La disperazione è l’espressione di tutta la personalità, il dubbio solo del pensiero. La presunta obiettività del dubbio, che lo rende tanto aristocratico, è proprio un’espressione della sua imperfezione. Il dubbio sta perciò nella differenza, la disperazione nell’assoluto. Per dubitare occorre del talento, ma per disperare non ne occorre affatto. Ma il talento come tale è una differenza, e quello che per farsi valere esige una differenza, non sarà mai l’assoluto; perché l’assoluto può solo essere l’assoluto per l’assoluto. L’uomo più insignificante, meno intelligente, può disperare, una fanciulla, che è tutto meno che un pensatore, può disperare, mentre ognuno capisce facilmente quanto sia sciocco dire che essi sono dei dubbiosi. Se il dubbio di un uomo si acquieta, e egli però dispera e rimane in questo stato, questo significa che egli non vuole la disperazione in senso più profondo. Non si può assolutamente disperare senza volerlo; ma per disperare per davvero si deve per davvero volere la disperazione; ma quando la si vuole veramente, allora per davvero si è fuori dalla disperazione; quando veramente si ha scelto la disperazione, si ha scelto per davvero quello che la disperazione sceglie: si ha scelto se stessi nel proprio valore eterno. Solo nella disperazione la personalità è acquietata; non con necessità (perché non dispero mai necessariamente), ma con libertà, e solo così viene conquistato l’assoluto.
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Quando dunque scelgo in modo assoluto, scelgo la disperazione, e nella disperazione scelgo l’assoluto poiché io stesso sono l’assoluto; io pongo l’assoluto e sono l’assoluto stesso; ma come perfettamente identico ad esso devo dire: io scelgo l’assoluto che sceglie me, io pongo l’assoluto che pone me; poiché se non ricordo che quest’altra espressione è altrettanto assoluta, la mia categoria dello scegliere è falsa, perché è proprio l’identità di ambedue. Quello che scelgo non lo pongo, perché se non fosse posto non lo potrei scegliere; eppure, se non lo ponessi nell’atto della scelta, non sceglierei realmente. Esso è, poiché se non fosse, non lo potrei scegliere; non è, perché diventa solo in quanto lo scelgo: altrimenti la mia scelta sarebbe illusione.
Ma che cosa è dunque che scelgo? È questa cosa o quell’altra? No, perché io scelgo in modo assoluto, e scelgo in modo assoluto proprio in quanto ho scelto di non scegliere questa o quella cosa. Io scelgo l’assoluto. Ma cos’è l’assoluto? Sono io stesso nel mio eterno valore, altro all’infuori di me stesso non potrò mai scegliere come assoluto; poiché se scelgo qualcosa d’altro lo scelgo come una cosa finita, e perciò non lo scelgo in modo assoluto. Perfino l’ebreo che scelse Dio, non lo scelse in modo assoluto, poiché scelse si l’assoluto, ma non lo scelse assolutamente, e così cesso’ di essere assoluto e divenne una cosa finita.
Ma cosa è questo me stesso? Se volessi parlare di un primo momento, di una sua prima espressione, la mia risposta sarebbe: è la cosa più astratta di tutte, che nello stesso tempo in sé è la più concreta – è la libertà.
Kierkegaard, Aut – Aut
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