Religione (Appendice 4)

QUESTIONE PRIMA

Il vescovo di Gloucester, Warburton, autore di una delle opere più erudite che siano state scritte, si esprime così a pagina 8 del tomo I:

“Una religione, una società che non sia fondata sulla credenza in un’altra vita, deve essere sostenuta da una provvidenza straordinaria. Il giudaismo non si fonda sulla credenza in un’altra vita; dunque il giudaismo è stato sostenuto da una provvidenza straordinaria “.

Parecchi teologi sono insorti contro di lui; e siccome si ritorcono tutti gli argomenti, hanno ritorto il suo dicendogli:

“Ogni religione che non si fondi sul dogma dell’immortalità dell’anima e sulle pene e ricompense eterne è necessariamente falsa; ora, il giudaismo non conobbe questi dogmi; dunque il giudaismo, lungi dall’essere sostenuto dalla Provvidenza, era, secondo i vostri principi, una religione falsa e barbara che offendeva la Provvidenza “.

Quel vescovo ebbe qualche altro avversario che sostenne che l’immortalità dell’anima era conosciuta dagli Ebrei fin dai tempi di Mosè; ma egli provò loro con estrema evidenza che né il Decalogo né il Levitico né il Deuteronomio avevano fatto un sol cenno a tale credenza e che è ridicolo voler distorcere e corrompere alcuni passi degli altri libri per ricavarne una verità che non è annunciata nei libro della legge.

Monsignor vescovo, avendo composto quattro volumi per dimostrare che la legge giudaica non proponeva né pene né ricompense dopo la morte, non è mai stato in grado di rispondere ai suoi avversari in maniera soddisfacente. Essi gli dicevano: “O Mosè conosceva quel dogma, e allora ha ingannato gli Ebrei non manifestandolo; oppure lo ignorava, e in tal caso non ne sapeva abbastanza per fondare una buona religione. Infatti, se la religione fosse stata buona, per quale motivo sarebbe stata abolita? Una religione vera deve esserlo per tutti i tempi e per tutti i luoghi; deve essere come la luce del sole, che illumina tutti i popoli e tutte le generazioni “.

Questo prelato, per quanto sia illuminato, ha faticato parecchio a tirarsi fuori da tutte queste difficoltà; ma quale sistema ne è esente?

QUESTIONE SECONDA

Un altro dotto molto più filosofo, che è uno dei più profondi metafisici di oggi, ci offre valide ragioni per provare che il politeismo è stato la prima religione degli uomini e che si è incominciato col credere in molti dei prima che la ragione fosse abbastanza illuminata per riconoscere un unico Essere supremo.

Io oso credere, invece, che si sia cominciato col riconoscere un solo Dio e che poi la debolezza umana ne abbia adottati diversi; ed ecco come concepisco la cosa.

È indubbio che ci furono borgate prima che si costruissero grandi città e che tutti gli uomini sono stati divisi in piccole repubbliche prima di riunirsi in grandi imperi. È più che naturale che una borgata atterrita dal tuono, afflitta dalla perdita delle sue messi, maltrattata dalla borgata vicina, sentendo ogni giorno la propria debolezza, sentendo dappertutto un potere invisibile, abbia ben presto detto: “C’è qualche essere al di sopra di noi che ci fa del bene e del male”.

Mi sembra impossibile che abbia detto: “Ci sono due poteri”.

Infatti, per quale ragione ce ne dovevano essere diversi? In ogni campo si comincia dal semplice, poi viene il complesso e spesso infine si ritorna al semplice in virtù di lumi superiori. Tale è il procedimento della mente umana.

Qual è quell’essere che si sarà dapprima invocato? Il sole? La luna? Non lo credo. Esaminiamo ciò che avviene nei bambini; essi sono su per giù quel che sono gli uomini ignoranti. Non sono colpiti né dalla bellezza né dall’utilità dell’astro che anima la natura, né dagli aiuti che ci offre la luna, né dalle variazioni regolari del suo corso; non ci pensano, vi sono troppo abituati. Si crede, si invoca, si adora solo quello che si teme; tutti i bambini guardano il cielo con indifferenza; ma se tuona, tremano e vanno a nascondersi. I primi uomini agirono indubbiamente nello stesso modo. Soltanto certe specie di filosofi possono aver osservato il corso degli astri, averli fatti ammirare e adorare; ma degli agricoltori semplici e senza nessuna istruzione non ne sapevano abbastanza per adottare un così nobile errore.

Un villaggio si sarà dunque limitato a dire: “C’è una potenza che tuona, che grandina sopra di noi, che fa morire i nostri bambini: plachiamola; ma in che modo? Noi vediamo che con piccoli doni abbiamo placato la collera delle persone adirate; facciamo dunque piccoli doni a questa potenza. Bisognerà anche darle un nome”. Il primo che si presenti è quello di “capo”, “padrone”, “signore”; questa potenza è dunque chiamata “Mio Signore”. È probabilmente la ragione per cui i primi Egiziani chiamarono il loro dio Knef; i siriaci, Adonai; i popoli vicini, Baal o Bel o Melch o Moloch; gli asciti, Papee: tutte parole che significano signore, padrone.

È così che si trovò quasi tutta l’America divisa in una moltitudine di piccole popolazioni non completamente organizzate, le quali avevano tutte il loro dio protettore. Gli stessi Messicani, i Peruviani, che erano grandi nazioni, avevano un solo Dio: gli uni adoravano Manko Kapac, gli altri il dio della guerra. I Messicani davano al loro dio guerriero il nome di Vitzliputzli, come gli Ebrei avevano chiamato il loro signore Sabaoth.

Non è per una ragione superiore e di cultura che tutti i popoli hanno così cominciato col riconoscere una sola divinità. Se fossero stati filosofi, avrebbero adorato il dio dell’intera natura, e non il dio di un villaggio; avrebbero esaminato quei rapporti infiniti fra tutti gli esseri che sono la prova di un essere creatore e conservatore; ma essi non esaminarono nulla, sentirono. Questo è il modo di procedere del nostro debole intelletto; ogni borgata sentiva la propria debolezza e il bisogno che aveva di un forte protettore. Immaginava questo essere tutelare e terribile residente nella vicina foresta o sulla montagna o su una nube. Ne immaginava uno solo, perché la borgata aveva un solo capo in guerra. Lo immaginava corporeo, perché era impossibile raffigurarselo altrimenti. Non poteva credere che la borgata vicina non avesse anch’essa il suo dio. Ecco perché Jefte disse agli abitanti di Moab: “Voi possedete legittimamente quello che il vostro dio Camos vi ha fatto conquistare; dovete lasciarci godere di quello che il nostro dio ci ha dato con le sue vittorie”.

Questo discorso, tenuto da uno straniero ad altri stranieri, è molto notevole. Gli Ebrei e i Moabiti avevano spossessato gli indigeni del paese; gli uni e gli altri non avevano altro diritto che quello della forza, e l’uno disse all’altro: “Il tuo dio ti ha protetto nella tua usurpazione; tollera che il mio dio mi protegga nella mia”.

Geremia e Amos domandano entrambi “quale ragione abbia avuta il dio Melcom di impadronirsi del paese di Gad”. Sembra evidente, da questi passi, che l’antichità attribuiva a ciascun paese un dio protettore. Si trovano ancora tracce di questa teologia in Omero.

È naturale che, essendosi scaldata l’immaginazione degli uomini e avendo la loro mente acquistato cognizioni confuse, essi abbiano tosto moltiplicato i loro dei e assegnato protettori agli elementi, ai mari, alle foreste, alle fontane, ai campi. Più avranno esaminato gli astri, più saranno stati presi d’ammirazione. Come non adorare il sole quando si adora la divinità di un ruscello? Fatto il primo passo, la terra è ben presto coperta di dei, e dagli astri si finisce per scendere ai gatti e alle cipolle.

Però bisogna pure che la ragione si perfezioni; il tempo forma finalmente dei filosofi che vedono che né le cipolle né i gatti e nemmeno gli astri hanno ordinato la natura. Tutti quei filosofi babilonesi, persiani, egiziani, sciti, greci e romani ammettono un Dio supremo, remuneratore e vendicatore.

Dapprima non lo dicono ai popoli, perché chiunque avesse sparlato delle cipolle e dei gatti in presenza di vecchie e preti sarebbe stato lapidato; chiunque avesse rimproverato a certi Egiziani di mangiare i loro dei sarebbe stato mangiato lui stesso, come infatti riferisce Giovenale che un Egiziano venne ucciso e mangiato interamente crudo nel corso di una disputa.

Ma che cosa fecero? Orfeo e altri istituiscono dei misteri, che gli iniziati giurano con esecrabili giuramenti di non rivelare, e il principale di questi misteri è l’adorazione di un solo Dio. Questa grande verità si fa strada in mezzo mondo; il numero degli iniziati diviene immenso. È vero che l’antica religione sussiste sempre; ma siccome non è contraria al dogma dell’unità di Dio, la lasciano sopravvivere. E perché abolirla? I Romani riconoscono il Deus optimus maximus; i Greci hanno il loro Zeus, il loro Dio supremo. Tutte le altre divinità non sono altro che esseri intermediari: si innalzano eroi e imperatori al rango degli dei, ossia dei beati; ma è sicuro che Claudio, Ottaviano, Tiberio e Caligola non sono considerati come i creatori del cielo e della terra.

Insomma, sembra provato che al tempo di Augusto tutti coloro che avevano una religione riconoscevano un Dio superiore, eterno e diversi ordini di dei secondari, il cui culto fu poi chiamato idolatria.

Gli Ebrei non erano mai stati idolatri: infatti, benché ammettessero dei Malakhim, degli angeli, degli esseri celesti di ordine inferiore, la loro legge non prescriveva che tali divinità secondarie fossero oggetto di culto. Essi adoravano gli angeli, è vero, cioè si prosternavano quando ne vedevano; ma siccome la cosa non capitava spesso, per gli angeli non c’erano né cerimoniale né culto legale. I cherubini dell’arca non ricevevano omaggi. È indubbio che gli Ebrei adoravano apertamente un solo Dio, come la folla innumerevole degli iniziati l’adoravano segretamente nei loro misteri.

QUESTIONE TERZA

Fu nel tempo in cui il culto di un Dio supremo era universalmente ammesso da tutte le persone sagge, in Asia, in Europa e in Africa, che ebbe origine la religione cristiana.

Il platonismo contribuì notevolmente alla comprensione dei suoi dogmi. Il Logos, che in Platone significava la saggezza, la ragione dell’Essere supremo, divenne per noi il Verbo e una seconda persona di Dio. Una metafisica profonda e superiore all’intelligenza umana fu un santuario inaccessibile in cui la religione fu avviluppata.

Non ripeteremo qui come Maria venne in seguito dichiarata madre di Dio, come si stabilirono la consustanzialità del Padre e del Verbo e il procedimento del Pneuma, organo divino del divino Logos, due nature e due volontà derivanti dall’ipostasi, e infine la manducazione superiore, l’anima nutrita, come il corpo, delle membra e del sangue dell’Uomo-Dio adorato e mangiato sotto la forma del pane, presente agli occhi, sensibile al gusto, e nondimeno annientato. Tutti i misteri sono stati sublimi.

Dal secondo secolo si cominciarono a scacciare i demoni in nome di Gesù; prima si scacciavano in nome di Jehovah o Ihaho: infatti san Matteo riferisce che, poiché i nemici di Gesù avevano detto che scacciava i demoni in nome del principe dei demoni, egli rispose loro: “Se è per mezzo di Belzebù che io scaccio i demoni, per mezzo di chi li scacciano i vostri figli?”.

Non si sa in che epoca gli Ebrei abbiano riconosciuto come principe dei demoni Belzebù, che era un dio straniero; ma si sa (ed è Giuseppe che ce lo dice) che a Gerusalemme c’erano esorcisti incaricati di scacciare i demoni dai corpi degli ossessi, cioè degli uomini affetti da malattie insolite, che allora venivano attribuite in gran parte della terra a geni malefici.

Si scacciavano dunque quei demoni con la vera pronuncia di Jehovah, oggi perduta,e con altre cerimonie oggi dimenticate.

Questo esorcismo per mezzo di Jehovah o degli altri nomi di Dio era ancora in uso nei primi secoli della Chiesa. Origene, disputando contro Celso, gli dice: “Se invocando Dio, o giurando per lui, lo si chiama il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, si faranno certe cose con questi nomi, la cui natura e forza sono tali che i demoni si sottomettono a chi li pronuncia; ma se lo si chiama con un altro nome, come quello del Dio del male fragoroso o di imbroglione, tali nomi saranno senza virtù. Il nome di Israele tradotto in greco non potrà far nulla; ma pronunciatelo in ebraico, con le altre parole richieste, e compirete lo scongiuro”.

Lo stesso Origene, al numero 19, dice queste parole degne di nota: “Ci sono nomi che hanno per natura una certa virtù, come quelli di cui si servono i saggi tra gli Egiziani, i maghi in Persia, i bramini nell’India. Quella che si chiama magia non è un’arte vana e chimerica, come pretendono gli stoici e gli epicurei: né il nome di Sabaoth né quello di Adonai sono stati fatti per esseri creati, ma appartengono a una teologia misteriosa che si riferisce al Creatore; da qui deriva la virtù di questi nomi quando si combinano e si pronunciano secondo le regole, ecc.”.

Origene, parlando così, non esprime il suo pensiero personale, ma riferisce semplicemente l’opinione generale. Tutte le religioni allora conosciute ammettevano una specie di magia; e si distinguevano la magia celeste e la magia infernale, la necromanzia e la teurgia: tutto era prodigio, divinazione, oracolo. I Persiani non negavano i miracoli degli Egiziani, né gli Egiziani quelli dei Persiani; Dio permetteva che i primi cristiani fossero convinti degli oracoli attribuiti alle sibille e lasciava loro anche alcuni errori di poco conto, che non corrompevano l’essenza della religione.

Un’altra cosa assai notevole è che i cristiani dei primi due secoli avevano orrore dei templi, degli altari e dei simulacri. È quello che attesta Origene. Tutto cambiò in seguito con la disciplina, quando la Chiesa ricevette una costituzione stabile.

QUESTIONE QUARTA

Una volta che una religione è legalmente stabilita in uno Stato, i tribunali sono tutti occupati nell’impedire che si rinnovi la maggior parte delle cose che si facevano in quella religione prima che venisse pubblicamente ammessa. I fondatori si riunivano in segreto a dispetto dei magistrati; oggi si permettono le pubbliche assemblee soltanto sotto gli occhi della legge, e tutte le associazioni che si sottraggono alla legge sono vietate. La massima antica era che è meglio obbedire a Dio che agli uomini; oggi è ammessa la massima opposta, che seguire le leggi dello Stato significa obbedire a Dio. Prima non si sentiva parlare che di ossessioni e di possessioni, e il diavolo si scatenava sulla terra: oggi il diavolo non esce più dalla sua dimora. I prodigi, le predizioni allora erano necessari: adesso non sono più ammessi. Un uomo che predicesse delle calamità nelle pubbliche piazze verrebbe rinchiuso in manicomio. I fondatori ricevevano segretamente il denaro dei fedeli; oggi, uno che raccogliesse denaro per disporne senza esservi autorizzato dalla legge andrebbe sotto processo. Così, non ci si serve più di nessuna delle impalcature che sono servite a costruire l’edificio.

QUESTIONE QUINTA 

Dopo la nostra santa religione, che senza dubbio è l’unica buona, quale sarebbe la meno cattiva?

Non sarebbe forse la più semplice quella che insegnasse molta morale e pochissimi dogmi? Che mirasse a render giusti gli uomini senza renderli assurdi? Che non prescrivesse di credere a cose impossibili, contraddittorie, ingiuriose per la Divinità e dannose al genere umano, e non osasse minacciare delle pene eterne chiunque si attenesse al senso comune? Che non sostenesse i suoi dogmi per mezzo di carnefici e non inondasse la terra di sangue per dei sofismi incomprensibili? Quella in cui un equivoco, un gioco di parole e due o tre documenti falsi non facessero un sovrano e un dio di un prete spesso incestuoso, omicida e avvelenatore? Che non sottomettesse i re a questo prete? Che insegnasse soltanto ad adorare un Dio, la giustizia, la tolleranza e l’umanità?

QUESTIONE SESTA

E’ stato detto che la religione dei pagani era assurda in vari punti, contraddittoria e dannosa; ma non le sono forse stati imputati più mali di quanto non ne abbia fatto e più sciocchezze di quante non ne abbia predicate?

Ché a veder Giove toro,

Serpente, cigno o qualche altra cosa,

non mi pare ci sia niente di bello, 

né mi stupisce se a vote se ne mormora (Moliere).

Si tratta senza dubbio di insolenze; ma mi facciano vedere in tutta l’antichità un tempio dedicato a Leda che giace con un cigno o con un toro. In Atene o in Roma si predicò mai un sermone per incoraggiare le ragazze a far figli con in cigni del loro pollaio? Le favole raccolte e abbellite da Ovidio sono forse la religione? Non rassomigliano alla nostra Leggenda Aurea, al nostro Fiore dei Santi? Se qualche bramino o derviscio venisse a rinfacciarci la storia di santa Maria egiziaca, la quale, non avendo di che pagare i marinai che l’avevano condotta in Egitto, concesse a ciascuno di loro, a guisa di moneta, quel che si è soliti chiamare dei favori, noi diremmo al bramino: “Reverendo Padre, voi vi sbagliate, la nostra religione non è la Leggenda  Aurea”.

Noi rimproveriamo agli antichi i loro oracoli, i loro prodigi: se ritornassero al mondo e si potessero contare i miracoli della Madonna di Loreto e quelli della Madonna di Efeso, in favore di chi penderebbe la bilancia?

I sacrifici umani furono istituiti presso quasi tutti i popoli, ma praticati assai di rado. Presso gli Ebrei abbiamo soltanto la figlia di Jefte e Agag che siano stati immolati, in quanto Isacco e Gionata non lo furono. La storia di Ifigenia presso i Greci non è ben accertata; presso gli antichi Romani i sacrifici umani sono rarissimi. Insomma, la religione pagana ha fatto spargere pochissimo sangue, mentre la nostra ne ha riempito la terra. La nostra è senza dubbio la sola buona, la sola vera; ma noi abbiamo fatto tanto male per mezzo suo che, quando parliamo delle altre, dobbiamo essere modesti.

QUESTIONE SETTIMA

Se uno vuol convincere della sua religione degli stranieri o dei compatrioti, non deve forse comportarsi con la più insinuante dolcezza e la più allettante moderazione? Se comincerà col dire che quello che annuncia è dimostrato, troverà una folla di increduli; se osa dir loro che essi respingono la sua dottrina solo in quanto condanna le loro passioni, in quanto il loro cuore ha corrotto la loro mente ed essi hanno una ragione falsa e orgogliosa, li provoca a sdegno, li spinge contro di sé, demolisce lui stesso ciò che vuole costruire.

Se la religione che annuncia è vera, la passione sfrenata e l’insolenza la renderanno più vera? Vi adirate quando affermate che occorre esser miti, pazienti, benefici, giusti, adempiere a tutti i doveri della società? No, perché tutti sono del vostro parere. Perché allora ingiuriate il vostro simile quando gli predicate una metafisica misteriosa? Perché il suo buon senso irrita il vostro amor proprio. Voi avete l’orgoglio di esigere che il vostro simile sottometta la sua intelligenza alla vostra; l’orgoglio umiliato genera la collera, la quale non ha altra origine. Un uomo ferito in battaglia da venti fucilate non va in collera; ma un teologo ferito dal rifiuto di un voto diventa furioso e implacabile.

QUESTIONE OTTAVA

Non si deve forse distinguere accuratamente fra la religione dello Stato e la religione teologica? Quella dello Stato esige che gli imam tengano i registri dei circoncisi, i curati e i pastori i registri dei battezzati; che ci siano moschee, chiese, templi, giorni consacrati al culto e al riposo, riti stabiliti dalla legge; che i ministri di questi riti godano di considerazione da parte dei fedeli ma che non abbiano alcun potere; che insegnino al popolo i buoni costumi e che i ministri della legge veglino sui costumi dei ministri dei templi. Questa religione dello Stato non può mai causare turbamento alla vita sociale.

Lo stesso non si può dire della religione teologica; questa è all’origine di tutte le scempiaggini e di tutti i disordini concepibili; è la madre del fanatismo e della discordia civile; è la nemica del genere umano. Un bonzo sostiene che Fo è un dio; che è stato predetto da alcuni fachiri; che è nato da un elefante bianco; che ogni bonzo può fare un Fo con delle smorfie. Un talapoino sostiene che Fo era un sant’uomo di cui i bonzi hanno corrotto la dottrina e che il vero dio è Sammonocodom. Dopo cento discussioni e cento smentite, le due fazioni si accordano nel deferire la questione al dalai lama, che risiede a trecento leghe di distanza, che è immortale e anche infallibile. Le due fazioni gli inviano una deputazione solenne. il dalai lama comincia, secondo la sua divina consuetudine, col distribuire loro i sacri contenuti della sua seggetta.

Le due sette rivali li ricevono dapprima con pari rispetto, li fanno seccare al sole e li incastonano in piccoli rosari che baciano con devozione; ma non appena il dalai lama e il suo consiglio hanno pronunciato il giudizio a favore di Fo, la parte sconfitta sbatte i rosari in faccia al vicedio e vorrebbe rifilargli cento sferzate. L’altra parte difende il suo lama, da cui ha ricevuto buone terre; entrambe si battono a lungo; e quando sono stanche di sterminarsi, di assassinarsi e di avvelenarsi a vicenda, si indirizzano ancora gravi ingiurie. Intanto il dalai lama se ne ride; il buon padre continua a distribuire con regale dignità i contenuti della sua seggetta a chiunque voglia ricevere devotamente le sue sacre deiezioni.

 

Voltaire, Dizionario filosofico

 

 

 

 

 

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