Dogmi (Appendice 5)

Il 18 febbraio dell’anno 1763 dell’era volgare, quando il Sole stava entrando nel segno dei Pesci, fui trasportato in cielo, come sanno tutti i miei amici. Non fu la giumenta Buraq di Maometto a farmi da cavalcatura; non fu il carro di fuoco di Elia a farmi da vettura; non fui trasportato nè sull’elefante del siamese Sammonocodom, nè sul cavallo di san Giorgio patrono d’Inghilterra nè sul porco di Sant’Antonio: confesso con ingenuità che non so come feci quel viaggio.

Il lettore non stenterà a credere che ero confuso; ma ciò a cui non crederà è che vidi giudicare tutti i morti. E chi erano i giudici? Erano, non vi spiaccia, tutti coloro che hanno fatto del bene agli uomini, Confucio, Solone, Socrate, Tito, gli Antonini, Epitteto, tutti i grandi uomini che, avendo insegnato e praticato le virtù richieste da Dio, sembravano i soli in diritto di pronunciare le sue sentenze.

Non diró su quali troni fossero assisi, nè quanti milioni di esseri celesti fossero prosternati dinanzi al creatore di tutti i globi, né quale folla di abitanti di tali globi innumerevoli comparisse davanti ai giudici. Mi limiterò a riferire su alcuni piccoli particolari molto interessanti da cui fui colpito.

Osservai che ogni morto che perorava la sua causa e che metteva in mostra i suoi buoni sentimenti aveva accanto a sé tutti i testimoni delle sue azioni. Per esempio, quando il cardinale di Lorena si vantava di aver fatto adottare talune sue opinioni dal concilio di Trento e chiedeva la vita eterna come premio per la sua ortodossia, subito apparivano attorno a lui venti cortigiane o dame della corte che recavano tutte in fronte il numero dei loro appuntamenti intimi col cardinale. Si vedevano coloro che avevano gettato assieme a lui le fondamenta della Lega; tutti i complici dei suoi giudizi perversi venivano ad attorniarlo.

Di fronte al cardinale di Lorena c’era Calvino, il quale si vantava, nel suo gergo grossolano, di aver preso a pedate l’idolo papale, dopo che altri l’avevano abbattuto. “Ho scritto contro la pittura e la scultura” diceva; “ho fatto vedere, con tutta evidenza, che le buone opere non servono a niente e ho dimostrato che è diabolico ballare il minuetto: cacciate subito di qui il cardinale di Lorena e mettete me accanto a san Paolo”.

Mentre parlava, si vide apparire accanto a lui un rogo ardente; uno spettro spaventoso, che aveva al collo una gorgiera spagnola semicarbonizzata, usciva da quelle fiamme emettendo grida terribili: “Mostro” gridava “mostro esecrabile, trema! Riconosci quel Serveto che hai fatto perire col più crudele fra i supplizi, perché aveva disputato contro di te sul modo in cui tre persone possono costituire una sola sostanza”.  Allora tutti i giudici ordinarono che il cardinale di Lorena fosse precipitato nell’abisso, ma che Calvino fosse punito con maggiore severità”.

Vidi una moltitudine prodigiosa di morti che dicevano: “Ho creduto, ho creduto”; ma sulla loro fronte c’era scritto: “Ho fatto”; e venivano condannati.

Il gesuita Le Tellier aveva un aspetto fiero, tenendo in mano la bolla Unigenitus. Ma ai suoi lati prese forma d’improvviso un cumulo di duemila lettres de cachet. Un giansenista vi appiccò il fuoco: Le Tellier fu arso fino alle ossa; e il giansenista, che aveve tramato non meno di lui, ebbe pure la sua parte in quel rogo.

Vedevo arrivare da destra e da sinistra folle di fachiri, di talapoini, di bonzi, di frati e monaci bianchi, neri e grigi, i quali si erano immaginati tutti che, per fare la corte all’Essere Supremo, si dovesse cantare, o ci si dovesse frustare, o si dovesse andare nudi. Sentii una voce terribile che chiese loro: “Che cosa avete fatto di bene per gli uomini?”. A questa voce successe un cupo silenzio; nessuno osò rispondere e furono tutti condotti all’ospedale dei folli dell’universo: è uno degli edifici più grandiosi che si possano immaginare.

Uno gridava: “Bisogna credere alle metamorfosi di Xaca”; l’altro: “No, a quelle di Sammonocodom”. “Bacco fermò il sole e la luna” diceva questo. “Gli dei risuscitarono Pelope” diceva quello. “Ecco la bolla In Coena Domini”, gridava un nuovo venuto; e l’usciere dei giudici gridava: “All’ospedale dei folli, all’ospedale dei folli!”.

Quando tutti questi processi furono chiusi, udii allora promulgare questa sentenza: “IN NOME DELL’ETERNO CREATORE, CONSERVATORE, REMUNERATORE, VENDICATORE, MISERICORDE ecc., sia noto a tutti gli abitanti di centomila milioni di miliardi di mondi che ci siamo compiaciuti di formare, che noi non giudicheremo mai nessuno dei detti abitanti sulla base delle loro vane idee bensì unicamente delle loro azioni; perché tale è la nostra giustizia”.

Confesso che fu questa la prima volta che udii un editto del genere: tutti quelli che avevo letto sul piccolo granello di sabbia su cui sono nato si concludevano infatti con le parole seguenti: perché tale è la nostra volontà.

Voltaire, Dizionario filosofico

 

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