L’indicazione che rinvia alla connessione essenziale tra la verità come conformità e la libertà è in grado di scuotere questi presupposti ben radicati, se però noi siamo disposti ad un capovolgimento del modo di pensare. La riflessione sulla connessione essenziale tra verità e libertà ci porta a perseguire il problema dell’essenza dell’uomo, da un punto di vista che ci garantisce l’esperienza di un fondamento nascosto ed essenziale dell’uomo (dell’esserci), che ci consente di trasferirci innanzitutto nell’ambito originario ed essenziale della verità. Da quel punto di vista si può vedere anche che la libertà è il fondamento dell’intrinseca possibilità della conformità, per il solo fatto che riceve la propria essenza dall’essenza più originaria della verità che, sola, è veramente essenziale. La libertà è stata da noi poc’anzi definita come libertà per l’apertura di ciò che si manifesta. A questo punto, come bisogna pensare questa essenza della libertà? Ciò che si manifesta, e a cui un giudizio appresentante si adegua come ad una norma, è l’ente che, di volta in volta, è manifesto in un rapportarsi che si mantiene nell’apertura. La libertà nei confronti di ciò che si manifesta nell’apertura lascia che l’ente sia sempre quell’ente che è. La libertà ora si scopre come il lasciar-essere l’ente.
Abitualmente noi parliamo di lasciar-essere quando, ad esempio, vogliamo astenerci da un’impresa progettata.in questo caso, il “noi lasciamo essere qualcosa” significa: noi non ci prendiamo più cura di una cosa, non ci diamo più da fare intorno ad essa. Lasciar-essere qualcosa ha qui il significato negativo di astenerci da qualcosa, di rinunciare a qualcosa e, in genere, di tralasciarla nella più completa indifferenza.
Il senso che qui è necessario conferire all’espressione: lasciar essere l’ente, non si riferisce al tralasciare e all’indifferenza, ma al suo contrario. Lasciar-essere significa: affidarsi all’ente. Questo affidarsi non è da intendere, ancora una volta, come un mero avere-a-che-fare o un mero aver-cura, nel senso di custodire o inserire in un piano l’ente che di volta in volta si incontra o si cerca. Lasciar-essere – nel senso di lasciar-essere l’ente come quell’ente che è – significa affidarsi a ciò che è manifesto e alla sua manifestazione, in cui ogni ente entra a dimora, e che ogni ente che si manifesta porta ad un tempo con sé. Questo manifestarsi dell’ente è stato concepito dal pensiero occidentale fin dall’inizio, come “ta aleteia”, il non-nascosto. Se noi traduciamo aleteia, invece che con verità, con non-nascondimento, allora questa tradizione non è solamente “più letterale”, ma contiene anche l’indicazione di pensare e ripensare il concetto abituale di verità, nel senso della conformità del giudizio, in quella luce, non ancora compresa, dell’esser svelato e dello svelamento dell’ente. L’affidarsi all’esser-svelato dell’ente non è un perdersi in esso, ma è un dispiegare uno sfondo, tirandosi indietro, davanti all’ente, in modo che questo si manifesti in ciò che esso è, e come è, sicche’ l’adeguazione appresentativa possa prendere da esso la misura della conformità. Così inteso, il lasciar-essere è un es-porsi all’ente come tale, è un porre ogni rapportarsi in ciò che è manifesto. Il lasciar-essere, ossia la libertà, è l’ex-sistente che in sé si es-pone. Vista alla luce dell’essenza della verità, l’essenza della libertà si rivela come l’es-porsi nell’essere svelato dall’ente.
La libertà, dunque, non è solo ciò che il senso comune lascia intendere volentieri con questo nome, e cioè l’arbitrio imprevedibile che, nella scelta, si butta ora da un lato ora da un altro. La libertà non è l’assenza di obbligazione propria del poter fare o non fare qualcosa. La libertà non è neppure la semplice disponibilità per una richiesta o una necessità (a proposito di qualsiasi ente). La libertà (si tratti della libertà “negativa” o di quella “positiva”) è prima di tutto l’affidarsi allo svelamento dell’ente in quanto tale. L’essere-svelato, a sua volta, è custodito dall’affidarsi dell’ex-sistente, grazie al quale, l’apertura dell’aperto, ossia il “ci” dell’esserci, è ciò che è.
L’essenza della verità si è svelata come libertà, e questa come il lasciar-essere ek-sistente che svela l’ente. Ogni rapportarsi che si tiene aperto si realizza nel lasciar-essere l’ente e, di volta in volta, si riferisce a questo o a quell’ente. La libertà, come abbandono allo svelamento dell’ente in totalità, ha già determinato, come tale, l’accordo di ogni rapportarsi con l’ente in totalità. L’accordo, inteso come una disposizione immediata, non si lascia mai afferrare come “esperienza vissuta” o come “stato d’animo” perché, in questo caso, ne andrebbe della sua essenza e del suo significato che si ridurrebbe (come quello di “vita” e di “anima”) a ciò che può affermare solo l’apparenza di un diritto all’essenza, in quanto porta in sé la deformazione e il fraintendimento dell’accordo. Un accordo, inteso come es-posizione ek-sistente intenzionata all’ente in totalità, può essere “vissuto” e “sentito” solo in quanto “l’uomo che lo vive”, senza avvertire l’essenza dell’accordo, si trova già dentro l’accordo che svela l’ente in totalità. Ogni rapportarsi dell’uomo storico, sia che l’uomo lo avverta o meno, si realizza in questo accordo, e, per suo tramite, è immesso nell’ente in totalità. La rivelazione dell’ente in totalità non coincide con la somma degli enti di fatto conosciuti. Al contrario: là dove l’ente è poco conosciuto dall’uomo, o è conosciuto appena, e approssimativamente tramite la scienza, la rivelazione dell’ente in totalità può imporsi e dominare in maniera più essenziale di quanto non possa là dove il conosciuto e ciò che ancora si può conoscere sono divenuti inesauribili, e dove nulla più può resistere alla brama di conoscere, mentre la dominazione tecnica delle cose si afferma senza limiti. Proprio nell’appiattimento e nel livellamento che si realizza quando si vuole conoscere-tutto e solo-conoscere, si appiattisce la rivelazione dell’ente nell’apparente nullità di ciò che non è più neppure indifferenza, ma cosa già dimenticata.
L’accordante lasciar-essere l’ente penetra e precede il rapportarsi che si apre e si realizza in esso. Il rapportarsi dell’uomo è determinato dalla rivelazione dell’ente in totalità. Ma questa “totalità”, nell’ambito dei calcoli e delle preoccupazioni quotidiane, appare come l’incalcolabile e l’inafferrabile. Essa non si lascia mai comprendere dall’ente che di volta in volta si manifesta, appartenga esso alla natura o alla storia. Questa totalità, nonostante presieda costantemente all’accordo di tutto, rimane sempre l’indeterminato e l’indeterminabile, ed è per questo che in più delle volte viene fatta coincidere con ciò che è ovvio o comunque irrilevante. Detta totalità accordante non è un nulla, ma un nascondimento dell’ente in totalità. Proprio mentre il lasciar-essere lascia essere l’ente al quale si riferisce in un particolare rapporto, e così lo svela, proprio allora nasconde l’ente in totalità. Il lasciar essere è quindi in sé, ad un tempo, velare. Nell’ek-sistente libertà dell’esser-ci avviene il nascondimento dell’ente in totalità, si realizza così il nascondersi.
Heidegger, Sull’essenza della verità
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