1. L’associazionismo editoriale e giornalistico
Dopo aver tributato un necessario ricordo agli antenati della stampa periodica italiana – gazzette, riviste culturali, periodici d’informazione ufficiali e di battaglia, giornali d’opinione, pubblicazioni cattoliche e sindacali – dobbiamo lasciare la storia della stampa ed entrare nel vivo del discorso che attiene all’associazionismo editoriale.
L’origine associativa dei periodici risale al 1877 quando fu costituita l’Associazione della Stampa Periodica Italiana, presieduta da Francesco De Sanctis, Silvio Spaventa e Giuseppe Zanardelli.
All’epoca non esisteva ancora una netta distinzione fra gli editori e i pubblicisti, che solo successivamente avrebbero maturato un’autonoma identità categoriale. L’Associazione può quindi considerarsi sia l’antenata della FIEG e dell’USPI che della Federazione Nazionale della Stampa anche se, alle origini, come nota Murialdi, “il ruolo dell’Associazione di cui fanno parte gli editori-proprietari dei giornali, è limitato sostanzialmente alla funzione dei “giurì d’onore” per la soluzione di vertenze personali di carattere morale: in breve, per cercare di evitare quanto più possibile i duelli”.
L’Associazione curava la pubblicazione di una strenna – album “per l’aumento del patrimonio sociale”, di notevole interesse storico in quanto riportava gli elenchi e le statistiche delle testate edite in Italia, non diversamente da come avrebbe fatto la “Guida della stampa periodica italiana”, edita dall’USPI un secolo dopo.
Nel film “Cavalleria” di Goffredo Alessandrini, girato nel 1936 e ambientato ai primi del secolo, appare un manifesto dell’ASPI che sponsorizza un Concorso ippico, a dimostrazione dell’eccletismo e della popolarità dell’Associazione.
Quando, nel febbraio 1908, fu fondata la FNSI, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, l’ASPI ne divenne una delle Associazioni federate insieme a numerosi organismi regionali e locali come il Sindacato corrispondenti di Roma, l’Associazione lombarda dei giornalisti, il Sindacato milanese corrispondenti, l’Associazione stampa sportiva italiana, l’Associazione della stampa di Modena, l’Associazione della stampa toscana, l’Associazione livornese dei giornalisti, l’Unione dei giornalisti napoletani, il Sindacato corrispondenti di Napoli, l’Associazione stampa siciliana, l’Associazione stampa cattolica italiana e il Sindacato umbro corrispondenti.
La Federazione, fin sul nascere, oltre a tutelare gli interessi dei giornalisti, condusse coraggiose battaglie per rivendicare il diritto di cronaca e la libertà di stampa.
Nel 1906, in occasione del primo congresso degli stampatori e dei fabbricanti di carta, prese corpo la categoria industriale degli editori di libri. Successivamente, all’interno dell’ATLI che associava tipografi e librai, fu creata una sezione specializzata di editori di libri (e negozianti di musica), presieduta da Giulio Ricordi, che nel 1922 si costituì come autonoma Associazione di editori di libri.
Il regime fascista scioglierà l’Associazione sostituendola – nel 1929 – con la Federazione nazionale fascista industriali editori e poi – nel 1934 – inglobandola nella Corporazione della carta stampata.
Nel 1910, quando il mercato editoriale e soprattutto quello dei quotidiani aveva raggiunto un consistente spessore, si costituì l’Unione editori di giornali quotidiani che firmò i primi accordi sindacali in materia di rapporti di lavoro tra editori e redattori.
Nel 1911 l’Associazione dei giornali cattolici (che era nata a Milano nel 1895) si trasformò nella più vasta Associazione della stampa cattolica italiana.
Con l’avvento del fascismo l’associazionismo giornalistico e della stampa periodica ebbe vita difficile, ma furono proprio l’ASPI e la FNSI a reagire al progetto di legge, fatto presentare alle Camere da Mussolini nel 1924, che legittimava una dura azione repressiva sulla stampa. In particolare, l’assemblea dell’ASPI votò, per acclamazione, un o.d.g. nel quale affermò “la decisa avversione al progetto di legge che infirma le libertà costituzionali e compromette le più elementari garanzie della professione giornalistica”.
La costituzione della Corporazione Carta e Stampa e del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Fascisti, portò alla dissoluzione della FNSI, il cui Consiglio direttivo fu destituito nel marzo 1926, e alla pratica soppressione dell’ASPI.
Il 10 ottobre 1928 Mussolini inaugurò a Palazzo Venezia il primo di una serie di “rapporti” alla stampa italiana che avrebbero vincolato l’informazione alle “veline” governative fino al 1943. Rispondendo a Mussolini, il leader del Sindacato Nazionale di Giornalisti Fascisti, confermò che l’organismo rappresentativo era “uno strumento politico agli ordini del Fascismo”.
Nel 1944 sorge la FIEG, Federazione Italiana Editori Giornali, all’inizio con due diverse branche, una con sede a Milano e l’altra con sede a Roma, la prima per gli editori del Nord e la seconda per quelli del Centro-Sud.
Nello stesso anno, risorge a ordinamenti democratici anche la FNSI che viene però ricostituita su base prettamente professionistica e sindacale per la sola categoria dei giornalisti.
La FIEG, dal canto suo, riunite le due branche (pur mantenendo una sede a Milano), non ritenne di dover costituire un gruppo nel quale trovassero tutela le riviste culturali.
Ecco perché nel 1953, su sollecitazione proprio dell’allora Consigliere delegato della FNSI Leonardo Azzarita e con la piena cooperazione della stessa FIEG, fu costituita l’USPI, che quindi della prima Associazione della Stampa Periodica in Italia, nata nel 1877, può considerarsi erede.
2. La nascita dell’USPI
Gianni Robert, primo Segretario Generale dell’USPI, scrisse che la prima idea dell’Unione spuntò nel 1950: partecipando infatti, a titolo personale, al X Congresso della FIPP (Fédération Internationale de la Presse Periodique) si avvide che l’Italia era presente con tre persone prive di mandato, mentre le altre 22 Nazioni vi partecipavano con delegazioni ufficiali di altrettanti organismi rappresentativi della stampa periodica. Fu allora che Robert si chiese se non fosse opportuno che anche l’Italia avesse un’associazione di settore. Quel pensiero lo spinse, nei tre anni che seguirono, a prendere contatto con numerosi editori e direttori di periodici prodotti da aziende medio-piccole.
Mentre l’idea germinale andava maturando, intervennero alcune concomitanze determinanti per la nascita dell’Unione, a cui abbiamo solo fugacemente accennato e sulle quali è opportuno ritornare, a futura memoria. Anzitutto l’incoraggiamento della FIEG che nel secondo dopoguerra, avendo rilanciato la tutela dei quotidiani ed essendo impegnata nell’organizzazione dei periodici prodotti dagli stessi gruppi editoriali della stampa quotidiana e dai colossi dell’editoria periodica, non era interessata alla rappresentanza delle riviste culturali. In quegli anni, infatti, si avviò il fenomeno dei settimanali, stampati in rotocalco dai gruppi monopolistici che si imposero al grande pubblico grazie ad un linguaggio più immediato (che da quel sistema di stampa prese il nome) e attraverso la trattazione di argomenti di attualità e di varietà trascurati dai quotidiani, ma cari ai lettori senza troppe pretese.
Alle testate risorte o nate nella seconda metà degli anni ’50, si aggiungono nuovi settimanali come “La Settimana Incom”, “Epoca” e “Settimo Giorno” che incontrano larghi consensi. Notevoli sono anche le tirature (riferite agli anni 1950-55) dei settimanali preesistenti come “Domenica del Corriere” (600.000 – 900.000 copie), “Oggi” (500.000 – 760.000 copie), “Tempo” (150.000 – 420.000 copie) ed “Europeo” che si rivolge però ad un pubblico più raffinato (100.000 – 130.000 copie).
La FIEG, dunque, impegnata nella tutela della grande stampa, e non ritenendo di poter organizzare nel suo ambito anche il comparto dei periodici culturali, incoraggiò la nascita dell’USPI.
Erano altri tempi: tra stampa d’informazione ed editoria culturale non esisteva la separatezza che oggi impone un mercato più specializzato, così come non vi era contrapposizione ontologica tra sindacato ed editori. E, infatti, un secondo contributo alla costituzione dell’USPI venne dalla Federazione della Stampa attraverso il suo Consigliere delegato, Leonardo Azzarita che nel I Convegno Nazionale dell’USPI, in un intervento di grande valore, espresse la convinzione che “l’Unione era attesa” poiché avrebbe dovuto colmare un vuoto.
Il 6 e il 28 maggio del 1953 si incontrò a Roma un folto gruppo di editori, uomini di cultura e direttori di periodici per stilare un contributo italiano ai lavori dell’XI Congresso della FIPP, convocato a Bruxelles, e per dare gambe all’idea dell’USPI che era nell’aria.
Una mano la diede anche Gaetano Napolitano, Direttore generale del servizio stampa e informazioni della Presidenza del Consiglio che, dopo il collocamento a riposo, sarebbe diventato un attivo Presidente dell’USPI.
Il 15 giugno 1953 una commissione appositamente designata fu già in grado di sottoporre all’assemblea costitutiva, composta dagli editori e direttori di 52 periodici, uno schema di Statuto che fu discusso e approvato con voto unanime. L’art. 2 individuava i seguenti scopi dell’Unione:
“a) contribuire alla diffusione della cultura e dell’arte ed al progresso scientifico, sociale ed economico, nella libera circolazione delle idee e delle informazioni;
b) promuovere lo sviluppo della Stampa Periodica ed assicurare la difesa dei suoi interessi morali e materiali, in particolare procurandole agevolazioni e riconoscimenti;
c) creare un legame professionale di solidarietà fra coloro che lavorano nella Stampa Periodica, e facilitare lo svolgimento della loro attività”.
Ci fu, dunque, nei fondatori una chiara aspirazione alla diffusione della cultura, dell’arte e dei saperi scientifici che caratterizzerà, nel primo decennio di vita, le politiche dell’Unione e la stessa identità categoriale della stampa periodica.
D’altro canto, all’epoca, nei piccoli editori era ancora lontana la cultura aziendale, l’idea del mercato editoriale e la netta distinzione tra editori e giornalisti. E infatti i direttori e i giornalisti operanti nelle testate associate poterono chiedere l’iscrizione all’USPI come soci singoli.
Alla buona, con molti amici anche autorevoli e scarsissimi mezzi, ma soprattutto con una grande voglia di fare, l‘USPI fu costituita con atto notarile che reca la data del 18 giugno 1953.
In quell’anno l’Italia era in piena ricostruzione e conosceva solo l’avvento della plastica, ma era un paese ancora povero, lontano dal boom economico e dalla motorizzazione di massa. Il film “Vacanze Romane” è del 1953 e racconta l’epopea di un giornalista in Vespa.
Nel Comitato promotore e nel Comitato esecutivo provvisorio dell’USPI, accanto ad editori e direttori di periodici medio-piccoli, spiccano insigni uomini di cultura come il filosofo Enrico Castelli, l’economista Guglielmo Tagliacarne, antesignano delle ricerche di mercato, il gesuita Giacomo Martegani di “Civiltà Cattolica”, il nutrizionista Sabato Visco dell’Università La Sapienza di Roma, lo storico Raffaello Morghen.
Primo presidente dell’USPI fu Mario Pantaleo, direttore della rivista “L’Ingegnere”, che mantenne la carica fino al 1968, mentre il primo Segretario Generale fu il giornalista Gianni Robert.
Il 4 giugno 1954 fu costituito il primo Comitato Esecutivo di cui fecero parte, oltre ai ricordati Tagliacarne , Martegani, Pantaleo, Robert e Visco, l’editore C. Alberto Cappelli, inventore dei tascabili culturali dell’“Universale Cappelli”, il giornalista Gregorio Consiglio, Luigi Greco, presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Antonio Morelli, segretario generale del Consiglio Nazionale delle Ricerche che diede ospitalità alla neonata associazione nella sede di Piazza Aldo Moro, che allora si chiamava Piazzale delle Scienze.
Gli esordi furono quelli di un organismo che voleva essere rappresentativo della stampa periodica, ma che di fatto agli inizi e nel suo primo decennio di vita ebbe soprattutto a cuore la sopravvivenza delle riviste culturali. Non a caso il Presidente Mario Pantaleo era un pubblicista colto, studioso di Einstein e la Vice Presidente della seconda consigliatura fu una poetessa, Maria Luisa Astaldi, direttore della rivista “Ulisse”.
Questa iniziale propensione per l’editoria culturale e scientifica, si ricava con chiara evidenza nelle pubblicazioni, nei temi dei Congressi e nelle iniziative del primo decennio di vita dell’Unione.
Il primo numero del “Notiziario dell’Unione della Stampa Periodica Italiana”, pubblicato nell’ottobre 1954, si apre con un editoriale programmatico di Gregorio Consiglio, illuminante sulla politica categoriale dell’USPI. Rileggiamone un passo: “E se il giornale quotidiano ed il libro hanno le loro difficoltà e i loro problemi, più grandi e più drammatici sono quelli della stampa periodica vera cenerentola della carta stampata. Non abbiamo bisogno di illustrare il contributo inestimabile che le riviste e i periodici di alto livello culturale (e sono migliaia) portano alla formazione intellettuale e morale, al progresso e alla diffusione della scienza delle arti e delle lettere. Non vi è chi non lo sappia e non lo comprenda.
Ma la struttura tecnica della stampa periodica non consente la grande impresa economica. Il valore e l’utilità di ogni periodico sono di ordine qualitativo e non quantitativo. Ciascuna pubblicazione, trattando in genere settori ristretti di scienza e di arte o di problemi politico-sociali ha necessariamente un numero ristretto di lettori…”. E ammoniva: “E’ vano ripetere che i problemi della cultura sono in cima ai pensieri se non si provveda a creare condizioni necessarie e sufficienti perché la stampa periodica culturale possa vivere e prosperare, assolvere l’insostituibile suo compito”.
L’impronta culturale ritorna in alcuni saggi apparsi sui numeri successivi del Notiziario, quali “Profilo del giornalismo letterario” di Franco Fattorello e “Stampa periodica e divulgazione scientifica” di Sergio Baer.
Il I Convegno Nazionale, inaugurato dal Presidente del Consiglio Pella, nel dicembre 1953, servì essenzialmente a presentare l’Unione alle istituzioni e agli organismi rappresentativi della carta stampata, nonché a raccogliere le prime adesioni. Ma già nel II Congresso (30 marzo – 1° aprile 1957) la prolusione, affidata allo scienziato Enrico Medi, affrontò un argomento ben circoscritto: “Stampa periodica e cultura” e il primo o.d.g. fu riservato alla politica culturale del Governo.
Nel III Congresso (28-30 novembre 1959), Umberto Mauri, Presidente delle Messaggerie Italiane, trattando i “Problemi economici e finanziari della stampa periodica” espresse “la difficoltà di passare dalla formulazione generica ai singoli casi nei quali il problema si demoltiplica, nella enorme zona intermedia esistente tra i casi limite del rotocalco a grande tiratura (di cui lo Stato potrebbe disinteressarsi, dato anche l’apporto della pubblicità) alla elitaria rivista di filosofia (della quale lo Stato deve invece necessariamente occuparsi)”.
Nonostante le difficoltà di identificare quella stampa deficitaria sul piano economico ma ricca per i valori culturali, lo Stato dovrebbe prendere atto che essa esiste, riconoscerne l’utilità sociale e prendere “un primo semplice provvedimento: far beneficiare tale stampa di tutti i privilegi di cui gode la stampa quotidiana: dall’integrazione del prezzo della carta all’abolizione dell’IGE alle tariffe preferenziali dei trasporti ferroviari e postali…”.
In quei lavori congressuali fu intonato anche il leit motif di tutti i Congressi successivi: l’inadeguatezza del fondo statale per i contributi alle riviste di elevato valore culturale e scientifico.
Un evento indicativo del prestigio raggiunto dall’USPI in pochi anni fu la memorabile udienza del Papa Giovanni XXIII.
Milano ospitò il IV Congresso, (23-25 marzo 1962), che si aprì con un messaggio del Ministro per il bilancio, Pella, sul tema “Una politica per la cultura nell’Italia democratica”, mentre Maria Luisa Astaldi parlò dell’“Incidenza dei moderni mezzi di diffusione sulla cultura di massa”. Nello stesso Congresso, Antonino Giuffrè – che fin dagli esordi aveva legato il suo nome prestigioso allo sviluppo dell’USPI, anche in qualità di Consigliere nazionale e che all’epoca editava 65 riviste – illustrando “I problemi economici delle riviste scientifiche” dimostrò con queste memorabili parole l’acrobatico teorema del profitto metaeconomico del periodico di qualità dai conti in rosso: “Per l’editore che non si chiuda e inaridisca negli schemi dell’astratto operare economico, le riviste apparentemente passive diventano la superiore unità di un risultato in cui è il servizio stesso reso alla cultura a rivelarsi alla fine fonte di consistente e meritorio incremento economico”.
In base a questa visione anticipatrice del “servizio culturale” l’USPI avrebbe sviluppato e propugnato l’equiparazione delle riviste di elevato valore culturale a quei beni culturali, come i musei e i teatri dell’Opera, che vanno tenuti in vita con aiuti statali.
In quei congressi nazionali si parlò anche di pubblicità, ma sempre in relazione ai motivi di tiratura e di target che emarginavano le riviste culturali dall’attenzione degli inserzionisti.
In definitiva, riteniamo che l’USPI, pur chiamando a raccolta tutti i segmenti dell’editoria periodica medio-piccola, nel suo primo decennio di vita si comportò sostanzialmente come il sindacato delle riviste culturali. E va da sé che questa visione parziale della base associativa circoscrisse anche le politiche categoriali di quegli anni.
3. Verso una più completa identità categoriale
L’errore dei fondatori fu quello di cercare il comune denominatore della base associativa nei contenuti elitari delle testate. Ma ben presto fu chiaro che l’editoria culturale era solo una tessera di un grande mosaico, peraltro suscettibile di cambiamenti, che non poteva esaurire la complessiva identità dell’editoria periodica.
In quegli anni l’USPI cominciò a correggere la sua rotta iniziale, protendendosi alla scoperta e alla tutela di un altro rilevante comparto, quello dei periodici d’informazione locale. Scrisse al riguardo Elio Vito Silvestro, Coordinatore dell’Ufficio diritto d’autore e promozione attività culturali del Servizio Editoria della Presidenza del Consiglio: “L’avere scoperto «l’altra faccia della stampa periodica», che è poi il tessuto connettivo dell’informazione e della cultura del territorio, l’averla additata all’attenzione di una più vasta opinione pubblica e alle forze politiche è stato, a mio parere, un grande merito dell’USPI, che ha consentito fra l’altro alle riviste scientifiche di uscire da quell’isolamento nel quale, come “categoria”, potevano essere relegate rischiando di apparire espressioni di una cultura “in vitro” ed avulsa dal contesto sociale, dal Paese reale”.
L’inadeguatezza dell’identità categoriale delle origini esplose inopinatamente in termini economici dopo il XV Congresso della FIPP, organizzato dall’USPI a Roma, d’intesa con quella Federazione, dal 27 al 29 aprile 1965.
Peraltro a quel Congresso internazionale i temi uscirono dalla chiusa delle riflessioni culturali e toccarono la protezione dei titoli, la vendita degli spazi pubblicitari, i metodi di stampa, i sistemi di distribuzione e persino le prime apparecchiature elettroniche.
Ai 150 ospiti stranieri l’USPI aprì i saloni dei più sontuosi palazzi della Capitale: quello degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, alcuni ambienti dei Musei Capitolini, Castel S. Angelo, il palazzo della Civiltà del lavoro. Palazzo Barberini ospitò la II Mostra internazionale del periodico che venne inaugurata da Giuseppe Padellaro, Direttore generale dei servizi per l’informazione e la proprietà letteraria della Presidenza del Consiglio.
Ai Congressisti furono offerte suggestive escursioni a Villa d’Este e a Villa Adriana, nonché uno spettacolo d’opera al Teatro La Cometa.
Le magnifiche giornate romane culminarono nell’udienza del Papa, Paolo VI.
Un programma così ricco di suggestioni entusiasmò gli invitati di 20 paesi, ma comportò all’USPI un impegno economico che ebbe penosi strascichi finanziari.
La crisi economica pose con urgenza l’esigenza di allargare la base associativa, all’epoca circoscritta a 500 testate, mise in discussione l’identità categoriale dell’USPI e, in definitiva, provocò una svolta di portata storica.
Il vertice dell’Unione, aiutato anche da Giuseppe Padellaro, decise un’energica manovra di rinnovamento e di risanamento economico.
Nel corso del cambiamento e nella definizione di nuovi più coraggiosi obiettivi sociali un fatto decisivo per il rilancio dell’USPI fu, l’8 marzo del 1967, la nomina a Consigliere Delegato di Giovanni Terranova che, con il nuovo Statuto approvato dall’Assemblea, a giugno dello stesso anno assunse la carica di Segretario Generale.
Esperto delle realtà redazionali dei periodici d’informazione, il Segretario Generale intuisce che bisogna mettersi al servizio di tutti i comparti della stampa periodica, fornendo consulenze, servizi, occasioni di formazione professionale e soprattutto sviluppando politiche generali di tutela per tutta la stampa periodica italiana.
Escono così le prime due edizioni del Prontuario per l’editore “fai da te”; nel 1967 il Notiziario abbandona la sua periodicità occasionale e assume la caratteristica di indispensabile aggiornamento mensile sulle battaglie dell’USPI e sulla legislazione editoriale; il 10 maggio 1969 esce la prima edizione della “Guida della Stampa Periodica Italiana”.
La Segreteria Generale risponde alle quotidiane richieste dei soci – soprattutto dei nuovi – fornendo informazioni pratiche sulle provvidenze statali, le tariffe postali, le scadenze e, naturalmente, la procedura per concorrere all’assegnazione dei contributi alle riviste di elevato valore culturale. L’USPI si conferma prezioso organismo di aggregazione dei periodici realizzando nel 1967 un accordo con un grande stabilimento tipografico per la stampa di periodici a migliori condizioni.
Dal momento che direttori e redattori aderiscono come soci individuali all’Unione, la Segreteria Generale segue le iniziative della Federazione della Stampa e le varie proposte relative all’Ordine dei Giornalisti, all’accesso alla professione e ai rapporti professionisti – pubblicisti.
Il 22 marzo 1968, Ernesto Redaelli, titolare di una grande azienda tipografica, “La Tipografica Varese”, viene eletto Presidente dell’USPI, in sostituzione di Mario Pantaleo, chiamato ad altro importante incarico.
Uomo pragmatico e dinamico, profondo conoscitore delle medie aziende editoriali lombarde, Redaelli sostiene l’intuizione di Terranova di aprire le porte dell’USPI ai comparti editoriali emergenti, come i fumetti e la stampa per ragazzi, la galassia dei settimanali d’informazione locale, la stampa medica, turistica e sindacale. Mentre il Segretario Generale coltiva l’editoria delle aziende monoprodotto, il Presidente fa conoscere l’USPI alle medie aziende lombarde e del Nord. E arrivano le adesioni che consentiranno già alla fine degli anni Sessanta di raddoppiare – da 500 a 1000 – il numero delle testate associate nel primo decennio e di vedere l’USPI assisa nelle Commissioni governative e ministeriali ed intenta a portare, per la prima volta, nelle stanze del Palazzo, la voce determinata della stampa periodica medio-piccola.
Il V Congresso Nazionale (Reggio Calabria, 14-18 maggio 1969) contiene i primi segni del cambiamento, affrontando temi di grande respiro che interessano la maggioranza dei comparti, come la “Funzione del periodico nei confronti dei quotidiani e degli audiovisivi” e “La stampa periodica italiana quale potente veicolo di pubblicità”. La mozione finale pone al Governo precise rivendicazioni sull’estensione dei contributi carta – concessi dall’ENCC (Ente Nazionale Cellulosa e Carta) alla “grande stampa” – ai periodici culturali e d’informazione, e per un’equa assegnazione agli anzidetti comparti della pubblicità di Stato, degli Enti pubblici e degli Enti locali.
Conviene però, a questo punto, lasciare le vicende congressuali, che riprenderemo nei capitoli successivi, per completare il sommario storico della costruzione della categoria, arrivando fino ai nostri giorni.
Un contributo determinante alle nuove strategie dell’USPI venne dai due Vice Presidenti Vittorio Ciampi, editore del “Nuovo Mezzogiorno” – che diventerà presidente nel 1986 – e Umberto Frugiuele, direttore de “L’Eco della Stampa” ed editore della omonima agenzia.
La vicenda professionale di Frugiuele interseca così frequentemente il mondo dei periodici e dei loro editori e direttori che sarà naturale la sua preziosa collaborazione all’USPI prima come Consigliere e poi, dal 1960 come storico Vice Presidente dell’Unione. Nel 1980 sarà nominato Presidente onorario e sostituito dal figlio Ignazio, per un altro ventennio. Questi, attraverso un significativo costante ricambio generazionale, ebbe come successore il figlio Umberto Frugiuele jr., prima Consigliere e poi V. Presidente dell’USPI (dal 2001) che ancora perpetua l’antica reciproca collaborazione dell’“Eco della Stampa” con l’Unione.
La strategia di Terranova di aprire l’USPI a tutti i comparti per farne il Sindacato di tutta la stampa periodica, in sei anni diede risultati cospicui. Il Segretario del “cambiamento” però non poté vederne la completa realizzazione poiché venne a mancare prematuramente il 28 novembre 1972.
4. La completa focalizzazione dell’identità categoriale
L’opera di apertura e di promozione categoriale avviata da Terranova trovò provvidenzialmente nel nuovo Segretario Generale, Gian Domenico Zuccalà – giornalista forgiato dalla temperie del secondo dopoguerra – un successore tenace, fedele e, al tempo stesso, coraggiosamente innovativo.
Zuccalà, eletto il 19 dicembre 1972, pose il suo talento organizzativo al servizio della completa costruzione e focalizzazione della categoria. E, come Terranova negli anni ’60 aveva promosso l’entrata nell’USPI di tanti comparti (informazione locale, stampa medica, agricola, educativa, turistica, giovanile, missionaria, fumetti), così il nuovo Segretario Generale fu puntuale nel proporre sistematicamente il vincolo sindacale ai comparti emergenti: ai periodici sportivi e del tempo libero ed ai fotoromanzi, negli anni ’70; agli specializzati, alla stampa sindacale, e ai settimanali cattolici d’informazione nella prima metà degli anni ’80; alle pubblicazioni di Enti pubblici e locali negli anni successivi.
La maggior parte degli impegni della Segreteria Generale fu dedicata alla tutela degli interessi collettivi e, in particolare, alle battaglie per tener basse le tariffe postali e l’aliquota IVA e per attenuare il gap legislativo che penalizzava l’editoria medio-minore rispetto alla stampa quotidiana.
Un servizio di grande rilievo fu quello mensilmente svolto per consentire alle medie aziende, che stampavano su carta in bobina, di fruire dell’assegnazione della carta, sia di produzione nazionale che d’importazione, come previsto dall’art. 3 del D.P.C.M. 13 gennaio 1976, recante le norme di attuazione della L. 6 giugno 1975 n. 172.
In un articolo sull’ “Avanti” del 9 maggio 1987, Zuccalà, riferendosi alla stampa periodica, parlò di “un universo di 9000 stelle” e dell’interesse dell’USPI per il boom delle riviste economiche, di motori, di viaggi e dei periodici di annunci economici (federati all’USPI attraverso l’ANSPAEG).
La scena degli anni ’90 fu dominata dall’ondata progressiva di musicassette, videocassette, CD Rom e CD, allegati a supporti cartacei e dalle pubblicazioni sui p.c. Queste testate, sulle prime, comportarono complicati problemi fiscali seguiti e risolti puntualmente da Dino Cosi, storico consulente fiscale dell’USPI.
Dobbiamo ora sottolineare un passaggio rilevante per la definitiva costruzione dell’identità dell’area USPI.
Dopo 18 anni di presidenza, Ernesto Redaelli lasciò l’incarico e il nuovo Consiglio, eletto il 22 aprile 1986, nominò Presidente Vittorio Ciampi che, per molti anni, aveva offerto all’USPI – in qualità di Vice Presidente – il contributo della sua colta esperienza di editore meridionalista. Appena insediato il nuovo Presidente nominò una Commissione – presieduta da Giuseppe Giuffrè – per un aggiornamento dello Statuto che precisasse, tra l’altro la natura dell’Unione intesa esclusivamente come sindacato di editori. Nell’anno successivo l’Assemblea approvò le modifiche statutarie che, oltre ad assegnare al Segretario Generale le funzioni di Presidente della Giunta Esecutiva, esclusero la possibilità che direttori e giornalisti dei periodici associati potessero iscriversi come soci individuali. L’USPI diventò un sindacato composto esclusivamente da testate periodiche, rappresentate dall’editore o da un suo delegato, e da Associazioni o Gruppi di periodici affini per materia, e venne così cancellata la doppia anima – editoriale e giornalistica – che non aveva facilitato l’identità e la legittimazione categoriale.
Qualche lingua malevola e male informata non poté più parlare di “armata Brancaleone”.
Con lo statuto del 1987 può considerarsi concluso il lungo processo di costruzione della categoria. Ma Zuccalà seppe andare oltre: strada facendo, man mano che venivano fuori nuove tessere del grande mosaico, comprese che il comune denominatore dell’area USPI non doveva essere individuato nei contenuti dei diversi comparti. Il mosaico delle “9000 stelle”, infatti, non era immobile, ma in tumultuoso divenire, sospinto dal vento del marketing che cominciava a soffiare anche tra i piccoli editori più avveduti e dinamici. I contenuti redazionali non potevano più riflettere le simpatie dell’editore “fai da te”, ma dovevano inseguire e, se possibile, anticipare i mutati bisogni di informazione, leggere i nuovi stili di vita dei lettori e, in definitiva, interpretare i nuovi traguardi della società italiana. In mezzo a queste derive di trasformazione la natura profonda di una categoria così eclettica e multifocale andava ricercata nell’editore-tipo, nel suo bilancio, nel suo capitale.
Il profilo prevalente e unificante venne così spostato dal contenuto della testata e identificato nella dimensione economica aziendale più significativa: il fatturato.
I Congressi, come vedremo più avanti, non furono più convegni culturali di un sodalizio circoscritto, ma luoghi decisionali di strategie e rivendicazioni di una categoria variegata, ma compatta e sindacalizzata.
5. L’arrivo degli editori medio-grandi
Gradualmente la categoria crebbe anche in qualità: accanto alla larga base di piccole testate, scelsero la tutela collettiva dell’USPI aziende medie e medio-grandi, editrici di testate di grande tiratura o di un rilevante numero di testate di piccola tiratura.
Ai nomi “storici” di Giuffré e Cedam, nel terzo decennio di vita dell’USPI 1973-1982 si aggiunsero realtà editoriali significative come Sipi (1973), Vita e Pensiero (1973), Le lettere (1973), Vallecchi – Olimpia (1975), Tedeschi (1976), Kurtis (1977), Lancio (1977), Domus (1978), Le Monnier (1979), Messaggero di S. Antonio (1979), Reed Business Information (1980), Queriniana (1980), Secondamano (1980), Stampa diocesana novarese (1980), Sergio Bonelli (1981), Dedalo (1981).
Qual é il minimo comune denominatore di questa fascia alta dell’area USPI, così eterogenea e frastagliata?
L’indipendenza degli editori che, andando a braccetto con la creatività e confrontandosi con un mercato difficile, scommette esclusivamente sulla carta stampata.
Difendendo ad oltranza questo plotone di editori puri, con la stessa determinazione con cui tutela i piccoli editori, l’USPI intende alimentare anche il pluralismo informativo e culturale.
6. Criterio distintivo della piccola azienda
Cosa si intende per piccola azienda editrice?
Quella che produce periodici di piccola tiratura? Quella che dispone di un piccolo capitale e di un piccolo fatturato? Quella che produce anche periodici di grande tiratura, ma che non persegue scopi di lucro? Quella che distribuisce i suoi prodotti solo in abbonamento postale?
E cosa si intende per media impresa editrice? Quella che distribuisce i suoi prodotti in rete? Quella che dispone di un medio capitale di rischio e di un medio fatturato annuo?
Cosa distingue i periodici delle aziende medio-grandi organizzate nell’USPI da quelli delle grandi concentrazioni organizzate nella FIEG?
Queste oscillazioni lessicali del termine “periodico” e queste domande terminologiche suggeriscono l’idea che la stampa periodica é un soggetto controverso, dai contorni non ben determinati nelle sue funzioni editoriali, finanziarie e commerciali.
Ciò spiega come l’editoria minore che pure – attraverso il suo Sindacato – ha raggiunto una identità categoriale sufficientemente chiara, non abbia ancora raggiunto una visibilità altrettanto forte.
Spesso nelle campagne associative l’USPI ricorre a questa semplificazione concettuale. Come esistono le grandi industrie, organizzate nella Confindustria, e le piccole e medie industrie, organizzate nella CONFAPI, così esistono da una parte i grandi quotidiani e i periodici di grande tiratura editi prevalentemente dai grandi gruppi e dai colossi editoriali, organizzati nella FIEG, e dall’altra le testate edite da aziende medio-piccole, organizzate nell’USPI. L’USPI sta alla FIEG come la CONFAPI sta alla Confindustria.
Questa similitudine, però, non aiuta a individuare lo specifico criterio che distingue le piccole aziende editrici di periodici da quelle medio-grandi. Eppure ci deve essere una dimensione che consenta di definire “piccola” un’azienda editrice.
Al riguardo va anzitutto scartato il criterio della tiratura poiché nel mercato incontriamo periodici di tiratura consistente, come ad es. i gratuiti e i contenitori pubblicitari, editi da piccole aziende. Viceversa si pubblicano periodici specializzati o di nicchia di tiratura modesta, prodotti da grandi aziende.
La legge per l’editoria n. 416/’81 individuò, per esclusione, le realtà editoriali minori, quando costruì la categoria dei c.d. “soggetti obbligati”, fissando in cinque giornalisti dipendenti il criterio che faceva scattare per l’editore di periodici l’obbligo di iscriversi al Registro Nazionale della Stampa, tenuto dal Garante per l’Editoria. Ai fini della legislazione antimonopolistica sembrò opportuno che il Garante tenesse d’occhio le aziende editrici di periodici che, avendo non meno di cinque giornalisti a tempo pieno, potevano in qualche modo essere considerate di fascia medio-alta e quindi rilevanti per il monitoraggio delle concentrazioni editoriali. Ma oggi le moderne tecnologie, il massiccio impiego di collaborazioni coordinate e continuative e i servizi giornalistici forniti da agenzie specializzate, consentono di mettere in piedi un’azienda editrice medio-grande anche con meno di cinque giornalisti dipendenti.
Per molti anni l’USPI usò un criterio tautologico: erano da considerarsi piccole le aziende di piccolo capitale e grandi le altre, ma mancava la quantificazione aritmetica del piccolo capitale.
Una luce sulla soglia economica discriminante venne dalla Finanziaria 1999 (L. 23.12.98 n. 448) che all’art. 41, punto 2, abolendo le agevolazioni tariffarie postali, istituì contributi diretti per i quali avrebbero potuto chiedere anticipazioni solo le imprese il cui fatturato non superasse i 5 miliardi di vecchie lire (2.582.284 euro). Ancora più specifico fu il Regolamento di attuazione del predetto art. 41 della Finanziaria 1999 (dettato con D.P.C. 4 ottobre 2000, n. 377) che individuò “l’editoria minore – destinataria dei contributi diretti – nelle imprese il cui fatturato, nell’anno precedente, non abbia superato i 5 miliardi di lire…”.
Quel tetto di 5 miliardi di fatturato, quale titolo di qualificazione dell’editoria minore, ritornò nell’art. 5, punto 6, della legge 7 marzo 2001, n. 62 che dettò “Nuove norme sull’editoria…”, in relazione al Fondo per le agevolazioni di credito alle imprese editrici. Stabilisce infatti il punto 6 che “una quota del 5 per cento del Fondo è riservata alle imprese che, nell’anno precedente a quello di presentazione della domanda per l’accesso alle agevolazioni, presentano un fatturato non superiore a 5 miliardi di lire…”.
Questo criterio non sarà né perfetto, né esaustivo, ma è finalmente un criterio nitido per l’individuazione delle piccole aziende che costituiscono più dell’80% dell’area USPI.
7. La caratterizzazione societaria delle medie aziende
Abbiamo già accennato ad alcune medie editrici che legarono il loro nome e le loro pubblicazioni, alcune delle quali prestigiose e affermate, alla nascita e alla fase pionieristica dello sviluppo dell’USPI. Indichiamo ora altre medie editrici che, nell’ultimo ventennio, hanno aderito all’USPI: Masson (1983), Ave (1983), Cioe’ (1983), Istituto Geografico De Agostini (1984), Italedi (1986), Il Sole 24 Ore – Edagricole (1987), Il Pensiero Scientifico (1988), Edizioni Associazione Universale Amici di S. Antonio (1988), Agepe (1988), Mucchi Editore (1990), Promotion Merate (1990), Leo Olski (1991), JCE Castelfranchi (2000), Mattioli 1885 (2001), Quadratum (2001), Vnu (2001).
Gli editori o i rappresentanti di queste importanti realtà aziendali sono stati o sono ancora nei vertici dell’USPI. Infatti, il vertice rieletto per il triennio 2001-2004, guidato dal Segretario Generale Francesco Saverio Vetere vede Presidente Mario Negri (in rappresentanza della DOMUS), Vice Presidente Vicario Antonio Barbierato (Ed. Associazione Universale Amici di S. Antonio) e, tra i V. Presidenti, Umberto Frugiuele jr. (L’eco della Stampa) e Giuseppe Giuffré della omonima editrice. Nella Giunta esecutiva e nel Consiglio Nazionale piccole e medie aziende sono, invece, rappresentate in modo equilibrato.
Per l’identificazione di un comune denominatore di questa rilevante componente della categoria c’é un orientamento dell’USPI che individuerebbe il medio editore nelle ditte individuali, nelle persone fisiche singole o nelle società di persone o di capitali che, oltre ad avere fatturati annui superiori ai 2.582.284 euro (pari a 5 miliardi di vecchie lire), producano esclusivamente prodotti editoriali, ossia non coltivino speculazioni in campi diversi da quelli della carta stampata. Per l’individuazione della media azienda editrice più che il criterio della dimensione del fatturato dovrebbe infatti soccorrere un criterio societario ancorato all’editoria pura, portata a coltivare, attraverso i suoi periodici rapporti di maggiore lealtà con i lettori e interessi economici meno esasperatamente speculativi. Abbinando l’anzidetto criterio societario a quello del fatturato annuo, l’area USPI risulterebbe composta da una maggioranza di piccole aziende il cui fatturato è sensibilmente inferiore ai 2.582.284 euro e da una minoranza di editori puri il cui fatturato è – anche considerevolmente – superiore alla soglia dell’anzidetto fatturato. Il denominatore comune dell’intera categoria sarebbe così ancorato non più alla minore o maggiore grandezza del fatturato quanto piuttosto alla qualificazione societaria “ideologica” dell’editoria pura. E, in effetti, i periodici non sono solo prodotti commerciali assimilabili ad una birra o ad un cellulare, poiché la carta stampata non soddisfa solo bisogni informativi o di evasione, ma realizza una funzione pubblica, civile, sociale e culturale. Per questa loro peculiarità le aziende dell’area USPI dovrebbero avere maggiori titoli ai sostegni dello Stato, rispetto ai grandi gruppi che coltivano interessi economici estranei a quelli editoriali.
Il problema riguarda il futuro prossimo e richiede una cultura del primato dell’editoria pura che fin da oggi tiene insieme le anime dell’area USPI, fecondandole con il lievito del pluralismo. Oggi l’USPI rappresenta piccoli e medi editori che insieme formano una grande categoria, molto compatta, ma tuttavia le scelte prossime non sono prive di incognite e di rischi. Oltre alle strategie rivendicative (sviluppate con il Parlamento, il Governo, i Ministeri, il Fisco, ai fini di un proficuo divenire della legislazione e della regolamentazione editoriale) le nuove sfide riguardano i contratti di lavoro, la distribuzione postale e nei punti vendita, l’editoria digitale, l’aggiornamento professionale dei soci. Queste scelte non sono scevre da insidie in quanto – se malauguratamente facesse difetto una sapiente mediazione – potrebbero danneggiare i piccoli editori a favore delle medie aziende o viceversa.
La strategia vincente non può essere che quella funzionale alla crescita di tutta la stampa periodica e allo sviluppo sia dei piccoli editori che di quelli medi.
Il sogno è che i piccoli diventino medi ed i medi editori diventino grandi, in modo che il monoteismo dei quotidiani possa essere sempre meglio integrato dal salutare politeismo della stampa periodica.
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